di Eugenio Baresi
Un poco di cronaca degli anni precedenti fa sorridere… ma basta un attimo per cambiare opinione.
Per la verità lascia preoccupati.
Avendo parlato di pericolose strumentalizzazioni e avendo parlato di crolli sovviene quanto accaduto a Pompei nel giro di pochi anni.
E lascia interdetti la differenza di giudizio, di reazione, di clamore mediatico.
Nel 2010 franò una parte della Schola Armaturarum.
Nel 2013 si erano aperti tratti delle mura delle Terme, poi una bottega di via Stabiana e pochi giorni dopo un intonaco della Fontana piccola.
Nel 2014 poi uno smottamento interessò parte del giardino della Casa di Severus., ma poco dopo crolli nel Tempio di Venere ed un muro di una tomba nella necropoli di Porta Nocera.
Nel 2017 cede una parete nella casa del Pressorio.
Quei crolli avvennero con ministri dei beni culturali diversi.
Naturalmente i vari ministri non avevano nessuna responsabilità diretta, perché una struttura cosi fragile come quella di una città riportata alla luce piano piano estraendola dalla sepoltura di migliaia di anni può avere cedimenti improvvisi.
E soprattutto quando Giove pluvio si impegna particolarmente…. magari insoddisfatto per mancanza di sacrifici in suo nome.
Senza giustificare o incolpare è però evidente che la responsabilità, nel caso ci fosse, sarebbe dei più prossimi al territorio nella catena di controllo.
Tra l’altro crolli, nessuno irreparabile, ma persino e paradossalmente alla fine utili ad implementare nuovi strumenti di controllo e programmazioni più attente negli interventi di prevenzione.
Ma fra quei tre diversi ministri c’è ne fu uno particolarmente colpito e contro cui si lanciò addirittura una mozione di sfiducia corroborata dal disdoro raccontato con enfasi da tutta la informazione.
Tra l’altro fu “responsabile” di un solo crollo nel suo mandato.
I tre ministri erano Bondi (FI), Bray (PD) e Franceschini (PD).
Se chiedessi chi fu martirizzato dall’informazione e chi fu attaccato da una mozione di sfiducia credo che, parafrasando una pubblicità, potrei concedere una facile vittoria.
Naturalmente Bondi.
La conclusione è che come sempre i fatti non sono quelli che contano, ma la convenienza nell’utilizzarli da chi è più abilmente scaltro e ovviamente da chi è più spudoratamente supportato dall’informazione distorta.
Certo non si può nemmeno sottacere l’incapacità politica di chi prima viene martirizzato e poi di fronte ad analoghe e plurime disavventure degli altri rimane silente nel suo trasparente esistere politico.
Resta l’amarezza nel constatare che sia l’imbroglio strumentalizzante che l’incapacità manifesta non dovrebbero essere le preminenti caratteristiche del buon governo.
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