Quando si tratta di denunciare con le parole la violenza alle donne sono tutti in prima linea.
Quando si tratta di applicare le norme che consentano severità nei confronti dei delinquenti sono tutti distratti e la leggerezza nella loro applicazione viene sottaciuta.
Il connubio di interessi, irresponsabile, fra chi informa e chi giudica lo conosciamo bene.

La magistratura in Italia non si discute, non si può discutere.
Ecco bisogna cominciare a discuterne.
Anche se la politica è in una parte utilmente deferente e nell’altra inutilmente pavida.
In questi giorni abbiamo visto come uno che ha assassinato la sua ex compagna fosse già in grado di uscire dal carcere dopo pochi anni… e così ha quasi ucciso la nuova compagna.
In questi giorni abbiamo visto come dei ragazzi che hanno violentato una ragazzina in pochi anni sono assolutamente liberi e, beffa delle beffe, con la fedina penale intonsa.
Non è colpa della legge.
È colpa della applicazione della legge.
La legge interpreta la Costituzione nell’indicare che le norme autorizzano i magistrati a valutare un percorso che porti chi ha sbagliato a potersi ricredere ed a dimostrare il suo ravvedimento.
Questo non significa che tale percorso possa essere considerato fatto automatico, che non sia per nulla valutato con attenzione e che non sia preteso non nella brevità del comodo comportarsi bene, ma proporzionato alla gravità di quanto commesso nella durata della prova.
È questo che devono fare i magistrati.
Se non lo fanno e accade quello che vediamo per l’ennesima volta in questi giorni non si può far finta di niente e non è giusto che nessuno paghi per quello che è accaduto.
Se la legge non la applichi con rigore ma la interpreti secondo i tuoi convincimenti, spesso politici, ne rispondi come tutti i cittadini normali.